 (Traduzione di Massimo Introvigne)
(Traduzione di Massimo Introvigne)
                              
Turibio de Mogrovejo (1538-1606), nobile di Maiorca, era un giurista  accademico noto per la sua passione per problemi giuridici astrusi e  insieme per la sua grande devozione alla Madonna. Recitava ogni giorno  non solo il Rosario ma anche il Piccolo Ufficio della Vergine, e  digiunava in onore della Madonna ogni sabato. 
Fu proprio questa devozione mariana ad attirare l’attenzione del re  Filippo II (1527-1598), che lo nominò giudice presidente della Corte  Suprema di Granada e responsabile dell’Inquisizione in quella città.  Per cinque anni fu un giudice eccezionale, tanto che nel 1580 –  semplice laico – fu chiamato all’episcopato come vescovo di Lima, in  Perù. Invano Turibio ricorse alla sua sottigliezza di giurista per  argomentare contro la legittimità del decreto che conferiva a un laico  una tale carica. Il re e la Santa Sede gli ordinarono in nome  dell’obbedienza di accettare: fu ordinato prete, consacrato vescovo e  insediato nell’immensa diocesi peruviana a 43 anni nel 1581.
Nonostante le reticenze iniziali, si mise all’opera con l’abituale  energia per difendere gli indiani sfruttati e perseguitati, per  risollevare la morale tra una popolazione spagnola ampiamente corrotta,  e per applicare le decisioni del Concilio di Trento in un Paese dove la  corruzione si diffondeva anche tra il clero. Ebbe la fortuna di trovare  un viceré del Perù che era in fama di santità, Francisco de Toledo  (1516-1582).
Il viceré protesse il santo contro numerosi calunniatori e persecutori.  Il vescovo Turibio offrì la sua protezione agli indiani e, fino all’età  più avanzata, continuo a studiare I loro dialetti per potere  personalmente insegnare il catechismo. La sua vigorosa azione era  sostenuta da una vita davvero intensa di preghiera e penitenza.
Durante una visita pastorale, contrasse a Pacasmayo una febbre  tropicale. Trasportato a Saña, morì il 23 marzo 1606, dopo avere dato  istruzioni perché I suoi beni fossero distribuiti tra i servitori e i  poveri, esclamando: “Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito”.
Si tratta di una vita esemplare, da cui traggo solo qualche punto di  meditazione. Il primo è la grande devozione del santo alla Madonna,  senza la quale la sua vita e la sua azione non possono essere capite.  Senza devozione alla Madonna non c’è santità. E la devozione alla  Madonna è la misura di ogni santità.
Un secondo punto interessante è considerare come il re Filippo II fu  colpito dalla devozione mariana di questo giurista e lo chiamò a una  carica molto importante. Possiamo riflettere sulla differenza con i  nostri tempi. Chi può immaginare che il presidente di una nostra  Repubblica oggi si comporterebbe così? Immaginiamo che il tal  presidente venga a sapere che in una città c’è un uomo di legge molto  religioso che digiuna, fa penitenza e recita tutti i giorni il Piccolo  Ufficio della Madonna. Incontrandolo, il presidente è così  impressionato dalle sue virtù che gli chiede di assumere un’importante  carica giudiziaria. Questa ci sembra una favola: giustamente. Non  pensiamo che possa accadere davvero, perché sappiamo bene che oggi  essere pii e virtuosi non costituisce un titolo preferenziale per  essere chiamati ad alte cariche.
Invece il re Filippo II invita san Turibio ad assumere un’importante  carica: tra l’altro, non solo quella di presidente di una delle Corti  Supreme spagnole ma anche di presidente dell’Inquisizione di Granada.  Questo ci mostra che l’Inquisizione qualche volta, in effetti, era  guidata da santi. San Turibio lascia una vita serena di studio e di  pietà per diventare la frusta degli eretici come inquisitore. Non c’è  contraddizione fra studio, pietà e funzione giudiziaria e  inquisitoriale. Possono essere attività complementari. In effetti le  testimonianze ci dicono che san Turibio esercitò le sue funzioni  guadagnandosi la stima di tutti, tanto che fu chiamato da laico a  diventare vescovo di una grande diocesi.
Consideriamo il prestigio che la santità aveva a quel tempo, e come  fosse considerata un elemento non solo utile ma indispensabile al buon  governo. Filippo II aveva capito che solo un santo avrebbe potuto porre  fine alla corruzione morale in cui il Perù stava affondando; solo un  santo avrebbe potuto dare uno stile cattolico alla vita e alla cultura  della colonia. Nella sua politica coloniale il re non era mosso dal  solo interesse economico, come l’analisi marxista e la propaganda  rivoluzionaria sostengono ogni volta che si parla della Spagna o del  Portogallo di quei secoli. Dov’era il vantaggio economico nel mandare  in Perù un nemico inflessibile della corruzione interessato anzitutto a  una riforma spirituale? Dobbiamo ammettere che Filippo II si  preoccupava davvero di consolidare il regno di Gesù Cristo in Perù.
In Perù san Turibio comincia ad agire. Diventa il flagello del clero  corrotto. Io penso che un vero santo è colui che non si limita a  predicare contro il vizio ma prende provvedimenti concreti contro i  viziosi. Infatti san Turibio intraprese una sistematica riforma del  clero. Fu appoggiato da un altro sant’uomo che Filippo II aveva scelto  per il Perù, il viceré Francisco de Toledo.
Santa Teresa d’Avila (1515-1582) usava chiamare Filippo II “il nostro  santo re Filippo”.C’erano dunque allo stesso tempo un re che, se non  era tecnicamente un santo, era comunque molto cattolico, un vescovo di  Lima che sarebbe stato canonizzato e un viceré del Perù molto virtuoso.  Che felice situazione! E quanto diversa dai tempi nostri! Quanto grande  è stata la nostra caduta! Io penso che una delle nostre principali  tentazioni è dimenticare da quali altezze siamo precipitati, e di  scambiare i nostri tempi per tempi “normali”. Pio XII ci offre  l’osservazione molto intelligente e profonda secondo cui il peccato del  ventesimo secolo è la perdita del senso del peccato. Non sottolineiamo  mai abbastanza questa verità.
Questa verità non si applica solo all’ordine religioso, ma anche alla  realtà sociale. Abbiamo perso la nozione di come dovrebbe essere un  ordine sociale “normale”, cioè conforme alle norme. Manchiamo così di  punti di riferimento per capire la nostra decadenza. Non è “normale”  vivere come viviamo noi, sarebbe “normale” avere vescovi santi, un  ardente cattolico come capo dello Stato e uomini virtuosi al governo.
Dobbiamo chiedere a san Turibio de Mogrovejo, che ha combattuto contro  la corruzione del suo tempo, di darci la forza di combattere contro la  corruzione, l’empietà e il nuovo paganesimo dei nostri giorni e  anzitutto di non pensare che si tratti di cose “normali”. Dobbiamo  chiedere al santo, che esercitò il difficile ufficio di inquisitore, la  grazia di sconfiggere la Rivoluzione, il movimento che sta distruggendo  la civiltà cristiana. Dobbiamo anche chiedergli la restaurazione di un  ordine sociale virtuoso secondo i principi della Chiesa Cattolica e  della Contro-Rivoluzione, del “regno di Maria” annunciato dalla Madonna  a Farima. in sintonia con la grande devozione che san Turibio aveva per  la Santa Vergine.